Buongiorno Daniele Anselmo, grazie per questa intervista e per la partecipazione a #GHRSummit21. Ci eravamo lasciati, lo scorso anno, con la Pandemia in ripresa in Italia e nel mondo, dopo un’estate in cui da noi sembrava aver allentato la presa. Come accadde con l’11 settembre molti dei cambiamenti in atto sono qui per restare, ma come cambierà il settore HR dopo la Pandemia Covid-19 e di cosa avrà bisogno il mondo del lavoro?
La Pandemia Covid-19 ha reso definitivamente evidente che, nello scenario odierno, non solo la profittabilità, ma la stessa continuità aziendale può essere messa in pericolo da cambiamenti spesso imprevedibili. Le aziende hanno quindi, più che mai, bisogno di essere o diventare agili per reagire tempestivamente alle sfide poste da contesti nuovi.
Il settore HR, aiutato dall’urgenza che i cambiamenti comportano, dovrà accelerare processi di trasformazione, in chiave agile, del mindset aziendale, partendo dal management team e coinvolgendo gradualmente nel processo di cambiamento operativo e organizzativo tutti i livelli.
Si parla sempre più spesso di reskilling e, comunque, della necessità per chiunque di allenare la propria elasticità, la capacità di far fronte ai cambiamenti e di formarsi in modo continuo e permanente. Come devono strutturarsi le realtà HR per essere davvero punti di riferimento in questo scenario?
Negli anni più recenti moltissime aziende hanno avviato processi di trasformazione organizzativa e digitale, ma i casi di successo sono davvero pochi (secondo un recente studio di McKinsey, il 30% nei casi delle trasformazioni organizzative e appena il 16% nel caso delle digital trasformation). Le une e le altre evidenziano che nei casi d’insuccesso c’è stato uno scarso coinvolgimento della funzione HR nell’implementazione dei processi di cambiamento.
La cosa non deve sorprenderci più di tanto. Le organizzazioni sono fatte di persone e nessun cambiamento avviato senza un loro diretto coinvolgimento ha molte chance di andare a buon fine.
Per questo le realtà HR devono strutturarsi come centro d’ascolto delle persone e come punto di raccolta dei loro bisogni, delle loro sfide e dei loro obiettivi, integrandoli con le esigenze aziendali che, in futuro, non potranno più essere solo di massimizzazione del profitto.
Il vecchio paradigma delle persone giuste al posto giusto, accompagnato da modalità di comando e controllo più o meno accentuate ormai scricchiola e già oggi le aziende di successo sono quelle capaci di disegnare l’organizzazione su processi operativi sempre più fluidi.
L’uomo è un sistema complesso e adattivo ed è già dotato di tutte le risorse per affrontare il cambiamento. Basta far emergere queste risorse e valorizzarle attraverso percorsi che lo prendano in considerazione come persone e non più come strumento produttivo.
Smart working: durante il lockdown abbiamo chiamato in questo modo anche i più semplici esperimenti (peraltro forzati) di remote working. Cosa manca alle aziende italiane per essere davvero smart e portare a regime (anche in modalità mista) le esperienze maturate in quel difficile periodo?
Il panorama delle aziende italiane è ampio e variegato. In linea del tutto generale, si può dire che in Italia una fetta importante del PIL è realizzato da aziende familiari, come peraltro in altre economie europee quali Francia, Germania e Spagna. Quello che differenzia l’economia italiana è una presenza numerica molto più elevata nel segmento delle PMI. Queste aziende sono probabilmente quelle più fragili e meno attrezzate a gestire i cambiamenti necessari per diventare smart.
Ci sono sicuramente rigidità culturali che rendono complicata l’adozione di nuovi modelli organizzativi ed operativi, ma c’è anche una ridotta capacità di accesso agli strumenti che, già oggi, stanno cambiando il modo di lavorare delle persone.
Infine, tanti contesti organizzativi sono ancora legati allo schema di comando e controllo che nelle modalità di lavoro smart è poco efficace.
Ancora una volta, la ricetta è semplice anche se non facile da realizzare. Gli ingredienti sono fiducia, coinvolgimento e valorizzazione delle persone. Al momento, questi ingredienti sono ancora merce rara, ma si può lavorare per svilupparli in azienda. Basta volerlo e la motivazione è molto semplice: la continuità dell’azienda.
Tecnologia, dispositivi, software, processi, automazione… spesso sembra che tutto questo debba seppellire il lato umano del lavoro, ma non è così. Cosa dovremmo spiegare ai molti NEET presenti anche nel nostro Paese e come potremmo convincerli di poter essere davvero utili e determinanti, se solo lo volessero?
Questo è forse il tema più delicato e la sfida più importante dei prossimi anni.
Molti dei lavori che sono svolti da persone, nel prossimo futuro saranno ad appannaggio delle macchine, ma il massimo potenziale nei contesti organizzativi si svilupperà solo laddove ci sarà integrazione fra le capacità di calcolo e la precisione offerta dalla tecnologia e la creatività che è e sarà sempre una caratteristica unicamente umana.
L’uomo si è fatto strada nel processo evolutivo perché ha a disposizione intelligenze multiple che gli hanno permesso di affrontare ogni tipo di avversità.
Oggi ai molti NEET che fanno fatica a vedere una prospettiva, consiglio di coltivare i propri sogni e, per realizzarli, di investire su loro stessi, sullo sviluppo delle loro abilità tecniche e soprattutto di quelle emotive e sociali. Questo farà di loro qualcosa di unico, irripetibile e prezioso.
Questo è forse l’unico investimento che nel medio-lungo periodo permetterà loro di essere ancora uomini, anzi uomini liberi.
Perché un visitatore del #GHRSummit21 dovrebbe sedersi al vostro tavolo? Quali strumenti e/o quali strategie potete offrire ad un’azienda che si rivolga a voi in questo ambito?
Perché da oltre vent’anni i nostri clienti ci scelgono per affiancarli in processi di trasformazione personale, dei team e dell’intera organizzazione.
La loro soddisfazione, la loro capacità di affrontare e risolvere situazioni impegnative, la loro attitudine ad andare oltre i propri limiti percepiti, la loro crescita e la realizzazione dei risultati attesi sono la nostra ossessione quotidiana.
Partiamo da una semplice consapevolezza: quello che facciamo nelle aziende clienti, lo applichiamo quotidianamente nelle nostre vite e nel nostro lavoro e funziona. Questo dà fiducia a noi e genera fiducia da parte dei nostri clienti, ponendo le basi per interazioni fluide e relazioni solide nelle quali gli obiettivi da raggiungere hanno sempre in comune il successo dell’azienda e il benessere delle persone.
Grazie per averci concesso questa intervista, ci vediamo al Global Summit.