Le regole fiscali vigenti prevedono che – al verificarsi di determinate precondizioni – i beni e i servizi erogati ai lavoratori nell’ambito di piani di welfare aziendale possano essere sgravati da imposte e contributi, fino all’azzeramento totale dell’imposizione, sia per le imprese che per i lavoratori.
L’implementazione del welfare in azienda rappresenta un elemento fondamentale delle politiche orientate al benessere, funzionali sia ad attrarre nuovi talenti che a fidelizzare quelli già in forza. Cionondimeno, l’attrattività del welfare aziendale è parzialmente inficiata da fattori come i costi “nascosti” ad esso correlati, la diffidenza dei manager o dei sindacati e, non da ultima, l’oggettiva complessità dell’assetto normativo. In tal senso, la gestione corretta di questo strumento risulta ostica, in particolare, per le micro e piccole imprese, parte maggioritaria del tessuto imprenditoriale italiano.
In generale, dal welfare aziendale possono derivare benefici concreti – si pensi al sostegno per le spese familiari e per il trasporto pubblico, fino alla previdenza complementare e all’assistenza sanitaria integrativa – ma, al contempo, ripercussioni fiscali indesiderate – tra le altre, il limite di esenzione dei cosiddetti “fringe benefit”, soggetto a continue variazioni e differenziazioni apportate dal legislatore negli ultimi anni.
In questo scenario, è essenziale conoscere la normativa e sapersi orientare tra le opportunità che questa offre, tenuto conto dell’importanza che oggi il welfare ha assunto agli occhi di una forza lavoro dalle esigenze sempre crescenti.